Bruna Biamino
Fotografa

Data pubblicazione intervista:

26/10/2011

Bruna Biamino è fotografa di fama internazionale; è nata a Torino, dove vive e lavora, espone dal 1982, alcune sue immagini si trovano in prestigiosi Musei e Fondazioni europee e americane, tra cui il Musée de l’Elysée di Losanna, l’Archivio dello Spazio di Milano, la Polaroid Foundation a Cambridge Massachussets, la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, il MAXXI di Roma. Biamino ha contribuito al rilancio, fotografandole per prima, delle Officine Grandi Riparazioni di Torino, “cattedrale romanica del lavoro”, attuale rilevante sede di mostre e cultura.

Il suo percorso di donna e artista.


La mia esperienza è un po’ particolare, dopo l’università ho iniziato a lavorare alla Fiat in quello che era un momento storico plumbeo; intanto fotografavo ed amici londinesi avevano visto, apprezzato e proposto le mie fotografie per una mostra, che si realizzò. Decisi così di licenziarmi e nel mio ruolo di fotografa cominciai dalle esposizioni, foriere poi dei primi incarichi.

Quali elementi differenziano l’opera di una donna da quella di un uomo?


Non ci sono differenze tra l’occhio di un fotografo donna o uomo, il modo di vedere è professionale, l’unica caratteristica diversa è una certa flessibilità che le donne hanno di più; è qualità femminile una maggiore capacità di adattamento alle richieste del cliente, ma rispetto al lavoro artistico, allo stile, non ci sono limiti di genere, ad esempio è stata una grande fotografa americana, Berenice Abbott, a documentare gli immensi cantieri di New York negli anni ‘30.

Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?


La famiglia restò basita, era l’inizio degli anni ’80, l’impiego fisso aveva un peso e non si sarebbe potuto immaginare un cambiamento così radicale della Fiat, dove però, allora, il massimo della carriera consentita alle donne era diventare segretarie di un top manager; io utilizzai quel poco di liquidazione per mantenermi, mentre avviavo la mia nuova attività.

Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.


Nel momento in cui ho riconosciuto che all’interno di una grande azienda le persone, di fronte all’amministratore delegato, si comportavano come davanti al Re Sole, uscendo dall’ufficio in retromarcia senza mai voltar le spalle, ho capito di non poter accettare una vita condizionata a tal punto. Subito avrei voluto scrivere, fare del giornalismo, ma narrare attraverso le immagini è altrettanto bello. La fotografia ha il pregio di farti entrare in tutti i mondi, a me capita di documentare una linea di montaggio e magari passo una settimana in fabbrica, mangiando alla mensa, oppure devo immortalare un castello per un ente o una rivista e mi immergo più giorni in un’atmosfera straniante. E’ l’esplorazione di contesti disparati che ritengo arricchente. Fotografare è raccontare storie in modo conciso; lavoro spesso con le istituzioni, poco con i pubblicitari, mi interessa che l’estetica si sposi alla funzionalità.

Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?


Penso che la cultura sia fondamentale, quanto l’educazione, la scuola, penso che i soldi siano indispensabili per la sanità come per la cultura, che fa parte della qualità della vita, della crescita, dell’identità di una nazione e quanto sta succedendo adesso è parecchio triste…

L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?


Prima era un ostacolo, poi si è trasformato in una facilitazione. Da parte delle industrie all’inizio c’era un po’ di sospetto, poi il fatto che io salissi sui carri ponte e non mi facessi problemi di sorta ha portato i committenti a ricordarsi di me più facilmente e a chiamarmi spesso, inoltre, partendo da una sottovalutazione, se le mie foto erano buone, lo sembravano ancora di più.

Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando?


Mi cattura l’archeologia industriale, le vecchie fabbriche, il pensiero di quello che è avvenuto in certi luoghi mi commuove tantissimo. Ora, dopo una serie di viaggi, ho un progetto sui deserti mediorientali, escludendo il Sahara, dove c’è il rischio di cadere in una fotografia turistica; io ho visto centinaia di tracce, segni dell’uomo, dalle legioni romane ai pali della luce, in mezzo a questi si può testimoniare un paesaggio comune a tutto l’Oriente: Giordania, Siria, Tunisia, Israele, Egitto non si distinguono, c’è una stessa radice che è fortissima, un dna di un’enorme fetta di popolazione, quindi a che vale farsi la guerra…

Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?


Stare dietro la macchina fotografica. Non credere nell’idea romantica dell’artista che lavora solo se è ispirato, il mio modello è quello della danza classica, provi 8 ore al giorno i movimenti come uno schiavo nubiano perché diventino espressioni d’arte, l’allenamento garantisce la qualità, in più, si deve assolutamente approfondire, conoscere la storia della fotografia, solo su solide basi si innesta qualcosa di nuovo, altrimenti non si matura.

Le fotografie che illustrano l'intervista sono dell'artista Bruna Biamino. Maggiori dettagli sul sito http://brunabiamino.com