Enrica Borghi
Scultrice

Data pubblicazione intervista:

28/03/2007

D. Il suo percorso di donna e artista. Quali elementi differenziano l’opera di una donna da quella di un uomo?

R. Non credo siano riscontrabili grandi differenze, forse nelle donne c’è maggiore attenzione ai materiali, più accuratezza nell’operato, ma non è così ovvio, Vezzoli fa un lavoro estremamente femminile ed è un uomo; il confine è impreciso, il maschile ed il femminile si confondono. Enrica Borghi

D. Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?

R. La famiglia non mi ha aiutato o osteggiato, mi ha lasciata libera, ed è sempre una lotta, tant’è che dopo l’Accademia, con la specializzazione in scultura, ho fatto il concorso per insegnare e l’ho vinto. E’ un paracadute.

D. Racconti l’episodio che ha determinato il passaggio da un sogno d’arte ad una professione d’artista?

R. La critica Ivana Mulatero, che si occupò della mostra “Nuovi Arrivi” a Torino nel 1996, è stata la prima a credere nel mio lavoro. Durante l’Accademia ero abbastanza delusa dall’ambiente degli studi, ero demotivata, poi ho iniziato a produrre senza illudermi troppo. Sono un’artista legata al tridimensionale, faccio soprattutto installazioni ed interventi urbani, c’è una forte componente pragmatica nel mio lavoro, volto al recupero della manualità. E’ una via abbastanza originale ma nel panorama internazionale molti si cimentano con il fare a mano, è diventato quasi di moda. Per diventare creatrice serve una grande forza interiore, poi sì, alcuni incontri favoriscono, ma è un’eterna salita.

D. Relazioni sociali e canali di finanziamento pubblico: sono importanti, sa come accedervi?

R. Ho partecipato a qualche bando per ottenere finanziamenti pubblici ma non in modo sistematico; mi è successo per Luci d’Artista, poi avevo vinto il concorso organizzato dalla Città di Torino in occasione della Biennale dei Giovani Artisti nel ’98, ed ho conquistato alcune borse di studio all’estero.

D. L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?

R. Io ho praticamente iniziato in un momento in cui, a metà degli anni ’90, le donne cominciavano in modo consistente ad entrare nel mondo dell’arte. In quel periodo è stato positivo essere donna ed artista e lavorare su tematiche femminili, oggi è ininfluente, tutto è molto oscillante, forse, rispetto ad altri settori professionali, l’arte si sta aprendo ai due sessi, senza discriminazioni.

D. Quali tematiche privilegia?

R. L’ambiente, il consumismo che invade ogni aspetto della quotidianità e ci rende schiavi, la produzione in surplus con il suo ritmo frenetico, i conseguenti oggetti di scarto. Tratto anche di ecologia, materiali alternativi per un sistema ecosostenibile. Ho fondato da poco un’associazione, Asilo Bianco, che ha sede vicino al Lago d’Orta, con la volontà di impegnarmi per il recupero del territorio; quella era una zona molto in voga nei secoli scorsi, ora è abbandonata. Sto cercando di capire se l’arte può ravvivare un luogo; in quest’ottica la provincia di Novara mi ha affidato il coordinamento di un evento per rimettere in gioco un’architettura di Renzo Piano, che è la sede della Fondazione Novara Sviluppo. La mia ricerca passa dall’oggetto al sociale, muovendomi sul territorio. Anche piuttosto lontano: partecipo ora ad una mostra in Svezia.

D. Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?

R. Non mollare e se possibile farsi esperienze all’estero, inserirsi subito in un contesto internazionale, stabilire contatti con artisti oltre confine.