Laura Curino
Attrice e Autrice Teatrale

Data pubblicazione intervista:

23/04/2008

D. Il suo percorso di donna e artista. Quali elementi differenziano l’opera di una donna da quella di un uomo?

R. Le differenze sono nei percorsi che portano ai medesimi risultati; l’opera è se stessa, asessuata; la diversità sta in come ci si arriva, in come uomini e donne gestiscono la propria strada formativa; l’arte del recitare è fatta di tecnica ed esperienze personali, poi sul palcoscenico quello che conta è l’amalgama del gruppo, non una somma ma una moltiplicazione, cioè un fecondo intreccio tra scenografo, regista, attori, costumisti, datori luci, drammaturghi e tecnici. Per quanto riguarda la scrittura io parto da un punto di vista femminile, ma anche questo non si riverbera necessariamente sui testi, è diversa la strada con cui uomini e donne arrivano ai risultati.

D. Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?

R. Io ho fruito non di bastoni ma di tronchi tra le ruote da parte di mia madre; mio padre era un poeta e diceva che se mi piaceva e se non facevo male a nessuno era giusto fare l’attrice. Forse mi sono incaponita anche per contrastare la strenua opposizione di mia madre, la quale però non agiva per cattiveria ma perché, a ragione, temeva ritardassi un’autonomia economica che nel mio mestiere, soprattutto agli inizi, è effettivamente precaria. La mia non è una famiglia né con vocazione economica, non siamo benestanti, né culturale. Io ho frequentato il Liceo e Lettere all’Università creandomi altre opportunità professionali, per, paradossalmente, poter scegliere il mio lavoro ogni giorno. Un lavoro che dà soddisfazioni enormi ma può anche essere disperante; io ho raggiunto una posizione in cui posso permettermi di selezionare, ma sono una privilegiata.

D. Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.

R. Gli incontri determinanti sono stati quelli con un gruppo di amici a Settimo dove vivevo, persone giovani che volevano fare il teatro ricostruendolo su misura. Abbiamo creato un nuovo stile, ma allora non lo sapevo. Io avevo 14 anni quando ho incontrato Gabriele Vacis, ora noto regista, Lucio Diana, adesso ottimo scenografo, la sodale attrice Mariella Fabbris ed altri. Poi sono stati fondamentali per me il compianto docente di Storia del Teatro all’Università di Torino Gian Renzo Morteo, una personalità straordinaria, e il suo assistente Giovanni Moretti, che trasferiva nella pratica dei lettorati le lezioni concettuali di Morteo.

D. Relazioni sociali e canali di finanziamento pubblico: sono importanti, sa come accedervi?

R. E’ importante in generale l’investimento pubblico nelle arti, perché la ricaduta è immateriale, quindi non subito pecuniaria, ma è un enorme bene per la collettività; l’arte deve avere un sostegno ma non una dipendenza totale, anzi, deve avere l’appoggio sia dello stato sia del pubblico, cioè il teatro deve individuare un suo pubblico di riferimento e riuscire a formarlo; per educare ed allenare alla fruizione artistica vanno impiegati i finanziamenti degli enti.

D. L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?

R. E’ stato un netto svantaggio. Nel teatro di tradizione le parti femminili sono sotto il 10%, quindi c’è meno lavoro, poi io conosco pochissimi registi o attori che hanno dovuto interrompere la carriera per i figli, a differenza della quasi totalità delle attrici, costrette ad intervalli pesanti in un ambito dove è importante la continuità dei rapporti. Se per qualche motivo però diventi una mosca bianca l’essere donna si trasforma in vantaggio: io sono tra le poche e prime donne che hanno cominciato a diffondere il teatro di narrazione ed ora in qualsiasi festival o manifestazione mi chiamano, ma è un vantaggio comunque relativo. Dipende dalla fortuna o dall’eroismo di ciascuna ed è comunque una grande fatica. Oggi per le ragazze è ancora più difficile di quando sono cresciuta io, in un’epoca in cui il femminismo aveva un suo peso. Adesso le giovani sono lasciate sole ed essendo lunga e protetta la formazione, tra scuola ed università, quando si affacciano alla realtà prendono batoste più forti.

D. Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando?

R. Mi trovo spesso a parlare di tematiche inerenti al lavoro, di personaggi che edificano, costruiscono, si danno da fare, forse perché sono nata a Torino; mi piace raccontare di gente che ha dato vita a grandi imprese, come gli Olivetti. Adesso sto sviluppando un progetto a sezioni su 365 donne che hanno fatto la storia d’Italia; ho trovato trame bellissime e a volte misconosciute. La prima fase è stata lo spettacolo “Le Designer”, che ha debuttato l’8 marzo al Museo di Scienze Naturali di Torino, in concomitanza con l’omonima mostra; la prossima tappa sarà “Le Regine”, dedicato sia alle regnanti sia alle donne che, anche senza un ruolo istituzionale, hanno dettato significative scelte politiche, come la Contessa di Castiglione o la Bela Rosin; sarà pronto nel marzo del 2009 e mi piacerebbe rappresentarlo nelle Regge, perché sto cercando di relazionare quello che metto in scena con quello che succede a Torino e in Piemonte: si sta lavorando ad una rete tra le residenze sabaude e le mie narrazioni, abbinate magari alle visite dei castelli, sarebbero un modo per promuovere ulteriormente il turismo. Conto poi nel 2011, per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, di interpretare ogni giorno una pagina di una sorta di agenda femminile al Circolo dei Lettori, con una signora protagonista, del passato o del presente, famosa o meno, ma comunque interessante da ascoltare; per questa idea non scrivo solo io ed ho già raccolto molto materiale estremamente variegato ed intrigante. Poi vorrei stampare un’immaginaria cartina stradale di Torino cambiando i nomi a tutti i corsi e le vie, in chiave muliebre: sto pensando che corso Vittorio Emanuele II potrebbe diventare corso Eleonora Duse...

D. Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?

R. A coloro che volessero fare le attrici consiglio di vedere tanto teatro e, se e quando si innamorassero professionalmente di un certo tipo di regia o di uno specifico modo di recitare, allora suggerisco di fare di tutto per lavorare proprio con quel regista o con quegli attori. E’ la scuola migliore. E senza risparmiarsi.