Marina Sasso
Scultrice

Data pubblicazione intervista:

27/02/2008

D. Il suo percorso di donna e artista. Quali elementi differenziano l’opera di una donna da quella di un uomo?

R. Il mio percorso artistico nasce in modo naturale. Ho frequentato liceo artistico e poi l’accademia, ho sempre vissuto in questo ambito, sia con l’insegnamento sia con le mie creazioni. Non ci sono differenze tra i sessi, una donna, come un uomo, può affrontare gli stessi discorsi contenutistici e tecnico-pratici, conosco scultrici affatto prive di connotazioni. Tra maschi e femmine può esserci una disparità di approccio. Una donna, in particolare della mia generazione, non ha avuto vita semplice, ha subito qualche discriminazione inerente alla promozione culturale. Penone e Zorio erano miei compagni di corso, a loro certo non dicevano che tanto poi si sarebbero occupati di casa e fornelli, ma forse quelle battute sono state formative, perché ti subentra una tale rabbia…Io mi sono sposata ed ho avuto figli ma ho sempre continuato a lavorare. Se una donna ha passione, vigore, voglia di fare, non deve porsi limiti. Molti si stupiscono perché sono capace a saldare, ma io a 19 anni ho fatto un bronzo di 6 metri: tecnicamente non ho nulla da invidiare ai miei colleghi uomini.

D. Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?

R. Sono fortunata perché avevo le idee chiare su quello che volevo fare e la mia famiglia, avendo capito l’autenticità della mia passione, mi ha lasciata sempre libera. Mia mamma è stata un notevole sostegno quando insegnavo ed avevo i figli piccoli; mio padre era medico, aveva una formazione classica e lo studio pieno di riviste d’arte. Sono l’unico caso di artista in famiglia, anche i miei figli, pur apprezzando la mia attività, hanno fatto scelte diverse.

D. Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.

R. La mia scelta è nata un po’ con me, le riviste d’arte del babbo, il senso della cultura e della bellezza. Da bambina amavo dipingere, disegnare, modellare, alle medie hanno suggerito ai miei genitori di mandarmi al liceo artistico ed è stato un periodo felicissimo, lì ho trovato bravissimi insegnanti, forse l’incontro più importante è stato con la docente di storia dell’arte che mi ha contagiato con l’amore per la sua materia. Allora i professori dell’artistico erano tutti pittori o artisti affermati, personaggi spesso carismatici.

D. Relazioni sociali e canali di finanziamento pubblico: sono importanti, sa come accedervi?

R. Sono aspetti entrambi importanti ma difficili da concretizzare, io ho fatto parecchi concorsi per opere pubbliche ma è andato a buon fine sono quello al Palazzo di Giustizia di Asti, spesso arrivavo seconda; è molto difficile accedere a lavori pagati dagli enti, almeno in Italia, è più facile all’estero. Per quanto riguarda le relazioni sociali e magari i rapporti con i galleristi, ho notato che sono gruppi chiusi e stranamente, a differenza di quanto pensassi, tutte le volte che mi sono rivolta a galleriste donne non ha funzionato.

D. L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?

R. Fino ad un certo punto un ostacolo, poi un aspetto ininfluente.

D. Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando?

R. Ho una visione geometrica della natura, intesa come elementi, non come paesaggio o panorama; per questo per me è importante la selezione dei materiali e l’approfondimento dei ritmi, degli scarti di luce. Manipolo gli elementi astratti della natura, come i metalli o le pietre, ma per me sono molto vicini alla realtà apparente. In questo momento ho finito l’antologica, arricchita con gli ultimi lavori di segni blu e piani neri; sto riordinando lo studio perché, per l’esposizione alla Sala Bolaffi, ho rivisto il mio intero percorso ed ho provato una forte esigenza di pulizia.

D. Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?

R. Ascoltarsi dentro, se c’è questa grande passione, portarla avanti. E tener duro.