Natalia Casorati
direttrice artistica coreutica

Data pubblicazione intervista:

24/05/2010

Qual è il rapporto tra la femminilità ed il potere, nel mondo della danza?

Nel 1993, quando ho cominciato ad organizzare, era tutto più difficile. Sono coetanea dei Sosta Palmizi, compagnia poi prestigiosa che inizialmente aveva sede a Torino ma, nonostante avesse già ricevuto premi, in Piemonte non riuscì ad ottenere contributi pubblici, infatti emigrò in Toscana dove fu accolta a braccia aperte. Io mi sono scoraggiata in fretta come coreografa, ma ho creduto nella diffusione della danza, nell’apertura a nuovi pubblici; infatti con la rassegna “Contrappunti” nel 1993 ho portato la danza nelle gallerie d’arte conquistando altri spettatori; i tempi erano già molto cambiati quando nel 2001 ho fondato il festival internazionale “Interplay”; la danza è adesso molto più presente nei cartelloni e non solo, io ho promosso ampiamente la danza urbana, nelle aree pedonali en plein air. Come donna organizzatrice non è facile rapportarsi con gli uomini, per istinto hanno un atteggiamento prepotente che a noi donne non appartiene.

Lei aveva una compagnia sua ma ha deciso di passare sul fronte dell’organizzazione, senza rinunciare alla sua femminilità: ha tre figli, cresciuti bene. Come ci è riuscita?


Ho abbandonato presto la compagnia anche perché volevo una famiglia e, avendo avuto a26 anni la prima figlia, sarebbe stato impossibile conciliare la tournée con i bambini, che da piccolissimi portavo con me; poi ho capito quanto in Italia sia difficile sopravvivere facendo l’artista quindi ho cercato una dimensione professionale in cui combaciassero esigenze della famiglia e sussistenza. Così mi sono impegnata nell’organizzazione, creandomi un ufficio a casa per potermi occupare dei figli. E i risultati sono stati ottimi: non solo dirige il festival Interplay che ha notorietà mondiale, ma coltiva la diffusione capillare della danza attraverso iniziative come Inside Off, una rassegna di work in progress aperti al pubblico gratuitamente, dove gli artisti discutono con gli spettatori.

Rimandiamo i lettori alla consultazione del sito http://www.mosaicodanza.it per ogni dettaglio, ma Inside Off è un’idea che ha rilevanza sociale: da cosa deriva?

Io credo nel rapporto umano e ho bisogno di sentirmi umanamente coinvolta; anche nel nostro lavoro si trascura questo aspetto, penso invece che non lo si debba mai dimenticare; dedico attenzione a tutti gli artisti che mi si rivolgono e ritengo che la positività porti messaggi di pace, che contribuiscono al benessere generale.

Ha fruito del sostegno della suoi familiari o l’hanno osteggiata?


La mia è una famiglia meravigliosa e molto generosa, mi hanno sempre appoggiato, ho avuto da loro un grande supporto.

Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.

Risale ai tempi dell’Università; io e Andrea Massaioli avevamo fondato una rivista d’arte, perché ci pareva che i giovani non avessero spazi, così avevamo creato una vetrina cartacea senza la mediazione dei critici; le copertine erano fatte a mano da artisti emergenti di tutta Europa che le disegnavano senza pretendere nulla in cambio, noi le pinzavamo a mano e i collezionisti facevano la fila per ottenerle, ecco, quell’esperienza mi ha formato dal punto di vista organizzativo e mi ha avvicinato al lavoro dell’artista in senso lato, al rispetto che gli si deve.

L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?


Sarebbe stato più facile essere un uomo.

Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?

Il finanziamento è fondamentale per la cultura; purtroppo il denaro pubblico, già stanziato, arriva tardissimo, costringendo le associazioni a giri viziosi con le banche che mettono in serie difficoltà, per fortuna ora intervengono anche i privati e le fondazioni bancarie sono veloci a pagare.

Che cosa la impegna attualmente?


Il festival “Inteplay”, poi ho dei progetti di reale sostegno alle giovani compagnie di danza, ispirandomi ai network internazionali, da cui noi italiani avremmo molto da imparare; sto cercando di lavorare in un’ottica che non sia autoreferenziale.

Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti o giovani organizzatrici?

Alle artiste consiglio di studiare tanto e di frequentare anche stage all’estero: prima di avere la forza di proporre cose tue devi fare molta gavetta; alle organizzatrici suggerisco di cominciare in strutture consolidate; in Italia manca la figura dell’organizzatore di compagnie: mentre tutte le realtà all’estero hanno un agente, qui non esiste e non c’è nemmeno un insegnamento universitario che prepari a quella professione, approfondendo sia gli aspetti teorici sia quelli pratici. Sarebbe importante che al Dams qualcuno colmasse questa lacuna.