Roberta Pugno
artista, pittrice

Data pubblicazione intervista:

29/02/2012

Il suo percorso di donna e artista. Quali elementi differenziano l’opera di una donna da quella di un uomo?

Non c’è diversità di operare a livello manuale, a livello psichico sì, abbiamo una capacità di andare più in profondità ed anche con maggiore sincerità; è una domanda imbarazzante perché ci si scopre contemporaneamente uguali e diversi, sono uguale ma sono in opposizione, costruttiva o distruttiva. Quando vedo un’opera non so distinguere se è di un uomo o di una donna, il risultato è senza identità sessuale. Penso si arrivi alla stessa cosa attraverso percorsi distinti, è come se ci fossero differenti ostacoli da eliminare, la donna deve cancellare senso di colpa, autodistruzione, panteismo infantile, l’uomo deve abbandonare la razionalità e l’idea che la parte cosciente sia la più importante, sono processi diversi per raggiungere una dimensione di libertà e coraggio in una sorta di stato sognante, una dimensione non cosciente, irrazionale, che è poi quella alla base dell’atto creativo.

Tra la vocazione artistica e la raggiunta autonomia c’è stato un divario? Ha fruito del sostegno della famiglia?


Ho avuto la grande fortuna di avere una zia scultrice tedesca, io sono dell’Alto Adige. I miei genitori avevano intuito in me doti artistiche, mi hanno indirizzato verso la musica ed io ho studiato per nove anni pianoforte al Conservatorio incapace di ribellarmi, poi però ho rivoluzionato tutto, mantenendomi ho iniziato a frequentare l’Università ma sono stata molto cauta, temevo che buttarmi solo a dipingere sarebbe stato pericoloso, così ho fatto Lettere e Filosofia, ritenevo che la conoscenza della storia dell’uomo fosse più sicura come fondamento, ho insegnato e poi è venuto un altro momento in cui, con grande ansia, ho deciso che ce l’avrei fatta solo con la pittura. Mi sono trasferita a Bologna e a Modena. La situazione di provincia mi ha aiutato, in Alto Adige la discriminazione è molto contenuta, un’artista donna in casa era concepita senza nessun conflitto intrapsichico, poi, venendo a Roma, ho avuto qualche contrasto con la società che paradossalmente è più conservatrice.

Non le mancano i suoi paesaggi?


Sono bipolare, ho una piccola casa nel bosco, fa bene a volte andare alle sorgenti, dell’esistenza e dell’essenza artistica, poi amo il freddo, nella mia prospettiva devono convivere il Mediterraneo e montagne.

Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.


Ho vinto il primo premio al primo concorso di pittura, io lavoro di notte e mi alzo tardi, quindi sono arrivata in ritardo, ma non avrei mai pensato di vincere: hanno dovuto rifare la premiazione con i fotografi perché non c’ero, è stato un riconoscimento che mi ha fatto credere valesse la pena di tentare.

Investimenti privati e finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?


L’aspetto difficile è che l’opera è un’immagine inutile, artistica, di bellezza, eppure è una merce; mi piacerebbe che accadesse come nel 1400 o nel 1500 con il mecenatismo o nel mondo comunista, in cui gli artisti erano sostenuti dalla Stato, invece siamo immersi in un Capitalismo che ha mercificato in modo capriccioso l’arte…

L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?


Un evidente svantaggio all’inizio, una galleria di Livorno mi aveva detto che sarei stata la prima donna ad entrare in galleria perché le donne non sarebbero affidabili e poi ho rifiutato tante cose come donna; adesso è un vantaggio, trovo sia molto più facile per me che per i miei colleghi, quando interrompo il lavoro, mi separo dalla dimensione creativa, io non ho rabbia, i pittori o scultori sì; forse la donna è più notturna, ma questa per me è una miglioria, nel comune e condiviso riconoscimento che l’arte nasce dall’inconscio.

Quali tematiche privilegia e a cosa sta lavorando?


La mia è una specie di autobiografia, proiettata sul come raggiungere la fonte delle immagini e dei pensieri, il tentare di rendere visibile l’invisibile (lo dice Paul Klee), le dimensioni di pienezza, vitalità, solitudine, rapporto e separazione tra gli esseri umani. A Palazzo Valentini a Roma ho esposto su materia, energia e pensiero, in tre sale, ognuna era legata ad un elemento, il percorso andava a scoprire che la materia, attraverso l’energia, fa emergere la vita del pensiero. Ho rappresentato più volte Giordano Bruno, il rifiuto di Giordano Bruno, che è un concetto psichico preciso; l’arte non può essere altro che atea, non interessa a chi crea dipingere favole, penso a Caravaggio, poi le si ammanta di forme comprensibili ma la gente che guarda, ama o odia per questo contenuto più profondo.

Per ulteriori ed approfondite notizie http://www.robertapugno.it

Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti?

Non aver timore di lasciarsi andare, ricreare l’origine creativa che abbandona i sensi di colpa e si protegge, con naturalezza, dalle paure.