Silvia Maria Ramasso Neos Edizioni
Editore

Data pubblicazione intervista:

22/09/2010

Il suo rapporto tra la femminilità ed il potere. Quali elementi differenziano la dirigenza di una donna da quella di un uomo?

Non si può parlare di potere in un’azienda ben gestita, ma di leadership, di qualcuno che si prende la responsabilità degli altri; la parola potere è fuori luogo, soprattutto nelle aziende dirette da donne, che riescono meglio ad esprimere appunto la leadership.

Racconti, se si è verificato, un episodio determinante per la sua scelta professionale.

Studiavo scienze naturali per lavorare nei parchi nazionali, ma la strada si presentava tortuosa e mio padre mi propose di entrare nell’impresa di famiglia; colsi quell’occasione, trasformando la tipografia, nata nel 1953, in casa editrice; il processo è durato parecchi anni, nell’arco dei quali ho approfondito le politiche imprenditoriali scegliendo poi di sterzare verso un settore che mi interessava di più e che, a fronte di dati e riflessioni, ritenevo commercialmente più vivo.

L’essere donna è stato un vantaggio, un ostacolo o un aspetto ininfluente?

Ininfluente, con minimi vantaggi o svantaggi; sono stata per quindici anni il primo presidente di categoria, dell’Unigec Confapi (Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Grafica Editoriale Cartotecnica ed Affine), ho trattato e concluso con i sindacati dodici contratti collettivi di lavoro; ho rinunciato alla carica quando ho ritenuto terminato il mio apporto. Nessuno nel frattempo si era preoccupato che io fossi donna o uomo.

In ambito artistico, lei crede sussistano ancora discriminazioni?

Non credo ci siano discriminazioni nell’arte, penso che la cultura si stia via via femminilizzando, a volte anche pericolosamente; scorrendo i titoli in una libreria ci si accorge che la maggioranza è stata scritta per donne, d’accordo, leggono più degli uomini, ma se nei secoli passati mancava una voce adesso rischia di spegnersi l’altra.

Finanziamenti pubblici: cosa pensa della relazione tra denaro e cultura?

Per la cultura il denaro serve ma si può fare anche senza; ritengo accettabile entro certi limiti il finanziamento pubblico, lo Stato dovrebbe investire fortemente su tutto il comparto dell’istruzione, è a scuola che deve radicarsi la cultura.

Quali progetti la impegnano attualmente?

Noi pubblichiamo una quarantina di libri all’anno e, a suo modo, ogni libro è un progetto, ma ci sono due attività trasversali che mi stanno occupando e che mi premono particolarmente; mi piace, sostenendo il settore della casa editrice che tratta di tematiche femminili, scavare in contesti femminei oscuri, misconosciuti o trascurati dai media, come le donne d’impresa o quelle anziane: per questo abbiamo ideato un bando di concorso annuale per il premio letterario “Scrivere Donna”, che si materializza in una pubblicazione dei racconti selezionati, presentata ogni anno al Salone del Libro. Una seconda iniziativa che mi coinvolge e in cui credo parecchio è una collana di itinerari dedicati al territorio piemontese, molto divulgativi ma piacevoli alla lettura, che permettano a chiunque di conoscere la nostra terra con suggerimenti di tipo ecologico ed ambientale; la prima è stata una guida delle 29 chiese del centro di Torino, tutte aperte, da visitare passeggiando. La missione aziendale della Neos Edizioni è sostenere, tramite narrativa e saggistica, il desiderio di crescita culturale civile e personale attraverso la leggerezza e la positività, ad esempio stampiamo gialli, ma non violenti e contestualizzati. Lei per professione legge moltissimo.

Riesce ancora a vivere la letteratura come intrattenimento?

La domenica e in vacanza leggo solo per piacere; è ovvio che sia una professione affascinante ma logorante, ci arrivano tra i 200 e i 300 manoscritti all’anno, lavoriamo molto con gli scrittori esordienti che richiedono particolare dedizione.

Ha qualche consiglio da dare ad artiste emergenti o giovani imprenditrici?

Primo, non essere presuntuosi, è fondamentale per gli artisti come per gli imprenditori, secondo, avere il senso della realtà, il riconoscimento lo si ottiene da una parte facendo bene il proprio mestiere dall’altra comunicandolo con pazienza, terzo, non tralasciare la parte economica, non è vile, nel percorso umano il valore di quello che facciamo è quantificabile anche il denaro.